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Bla, bla, bla ’risorse umane’ - vite di scarto.

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Bla, bla, bla … risorse umane (vite di scarto).

Qualcosa mi ricorda il raziocinante gioco del Monopoli, quando a farla da padrone era chi riusciva ad accumulare più risorse possibili e, soprattutto, ad accreditarsi le maggiori aree di prosperità economica, in modo da sbancare tutti gli altri e ridurli alla propria mercé. La storia insegna che il maggior prestigio di qualcuno si basa sullo stesso principio del Monopoli allorché si basava dall’istituzione dei Monopoli di Stato. Uno Stato possidente di numerosi beni immobili come edifici rilevanti, fabbriche importanti, sì da far pensare a un’istituzione cittadina, ma che dico, a una possibile ambizione istituzionale come un’intera nazione. Infatti sul tabellone del Monopoli si aprono strade, piazze, parchi ecc., si elevano edifici (le famose casette) a non finire, in cui i suoi abitanti sono imprenditori facoltosi, tutti alla stessa stregua, neppure fossero Ministri con portafoglio, da spendere e spandere a loro piacimento. A dire il vero li si riconosceva subito, fin dall’inizio del gioco, allorché tirare i dadi permetteva loro l’avanzata verso il successo.
Una strana parola ‘successo’ dall’esito ambivalente positivo/negativo di cui si doveva (e si deve) tener conto nell’immediato. Ma che cosa accadeva nell’avanzare del gioco (perché di questo in fondo si trattava)? Spesso il boom iniziale di chi vinceva, dava seguito a una propria affermazione sullo scacchiere socio-politico-economico, in cui tutto lasciava pensare a una fama ormai scontata, di vincitore. Ma i prestiti che questi infine elargiva ai perdenti (i vinti), solo per farli continuare nel gioco, non lo ripagavano con la stessa moneta, piuttosto, una volta passati dalla sua stessa parte (di vincitori), disconoscevano di essere beneficiari di un prestito immeritato, e smettevano (con una scusa o con altra) di continuare a giocare e a farsi la guerra con alzate di voce, di paroloni e quant’altro.
Quanto tutto questo assomiglia alla guerra che si sta portando avanti in Europa in questo momento, dove piuttosto che convenire a toni più pacati si fa saltare il banco e, anziché trovare accordi di belligeranza pacifica, ci si cannoneggia reciprocamente. Solo che questo non è affatto un ‘gioco’, qui si abbattono edifici, si distruggono città, i paroloni fuoriescono dai mortai, dalle contraeree, dalle mitragliatrici; qui si uccidono vite umane che avrebbero tutto il diritto di sopravvivenza. Quella stessa sancita nelle costituzioni delle nazioni e, in primis, dalla legge di Dio, che ha voluto che un ramoscello d’ulivo portasse sulla terra il segno della ritrovata pace dopo il diluvio. E non c’è bisogno di essere credenti per comprendere la necessità di intesa, di accordi comuni che vanno ripristinati, di concordia fra i popoli e le nazioni, per risanare l’armonia di questo nostro mondo, che va qui ricordato, abbiamo avuto in prestito, beneficiando di una tregua meschina quanto insostenibile.
Allorché Zigmunt Bauman scriveva “Vite di scarto”, eravamo nel 1988, non avremmo pensato allo stoccaggio dei rifiuti che ci avrebbe un giorno sommersi, se non all’insorgere di una realtà offensiva del genere umano, che l’avrebbe portato all’estinzione, smontando così ogni nostra immorale illusione e le nostre reiterate perversioni: “Oggi il mondo ne è pieno. Non esistono più frontiere verso cui convogliare la popolazione eccedente”, volgendo lo sguardo ai rifiuti materiali dei processi di produzione e consumo che invadono e soffocano le nostre città. Ancor più rivolgendo il suo pensiero illuminante ai rifiuti umani (vite di scarto) generati dai processi storici che, se è vero che si ripetono, non sembra abbiano insegnato niente che non si potesse accettare. Abbiamo fin troppo spesso chiusi gli occhi davanti alla realtà che un poco alla volta ci andava logorando e, che oggi, con questa nuova guerra alle porte ci presenta il conto.
Un dovuto necessario a risanare i guasti di tutte le guerre scatenate in ogni parte di quello che pensavamo fosse il migliore dei mondi possibili e che, malgrado l’avidità monopolistica di qualcuno, gli esseri umani, quelle risorse che pure vi hanno creduto servendosi dei buoni propositi e coi migliori auspici, hanno saputo riscattare con la cooperazione e la solidarietà, la fratellanza e l’amicizia, che gli ha permesso di stare insieme. Davvero tutto ciò non è servito a niente? Davvero siamo in preda a un’euforia guerrafondaia che ci porterà all’estinzione? Dove sono finite le menti illuminate che ci hanno permesso di arrivare fin qua? Mi chiedo se la lungimiranza di molti non poteva sapere di andare incontro a questa nuova catastrofe? Ciò che occorre è un nuovo investimento di benevolenza per ovviare alle conseguenze di questa ‘modernità liquida’ che ci circonda. Che pure sembra indecidibile, persa nella globalizzazione che sembra aver spento ogni voglia di comunità, il senso stesso della bellezza della vita:
“La nostra vita è un’opera d’arte, che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no”, che lo vogliamo o no.


Note:
L’inciso è di Zigmunt Bauman, in “L’arte della vita” - Editori Laterza2009
Zigmunt Bauman “Vite di scarto” - Editori Laterza 2007


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